Nel 1960 alle Olimpiadi di Roma Wilma Rudolph vinse tre medaglie d’oro, nei 100 metri, nei 200 metri e nella staffetta, segnando ben tre record mondiali e divenendo la “donna più veloce della storia”. Wilma era bellissima, elegante, con uno sguardo affascinante e un sorriso radioso. Anche la dea Nike ne avrebbe onorato la vittoria se l’avesse vista correre nell’antica Grecia, ma ad Olimpia le donne non erano ammesse né come atlete né come spettatrici. Non c’erano donne e non c’erano neri nemmeno nelle prime Olimpiadi moderne.
Wilma Rudolph è donna e nera, un’assoluta pioniera nello sport. Il suo eroe è Jesse Owens, l’atleta che nelle Olimpiadi di Monaco sconfisse le teorie ariane di fronte a Hitler vincendo 4 medaglie d’oro nelle dodici gare che fece in sette giorni. Un eroe che, tornato in patria, ricominciò a essere rifiutato dagli alberghi, a sedersi nel fondo dei bus e a non avere nemmeno un’offerta di lavoro, uscendo da ogni scena all’età di 23 anni.
Wilma conosce la storia di Jessie e la capisce perché la vive. Nata ventesima figlia in una famiglia povera ma unita, Wilma cresce nel Tennessee a Clarksville, un paesino di poche migliaia di abitanti, in regime di segregazione razziale. Scuole, bagni, fontane, mezzi pubblici, ambienti di lavoro, ristoranti, pompe di benzina… ogni luogo, servizio, è suddiviso in “razze” e ai neri spettano sempre i peggiori o i più scarsi. Solo il 7% degli adulti neri ha un’istruzione superiore.
Wilma nasce prematura, con una fragilità biologica congenita, che la espone a malanni di ogni tipo. A 4 anni prende la polio che le causa la paralisi delle gambe. Rischia di non camminare mai più. Comincia un calvario che dura otto anni. Due volte a settimana, seduti in fondo al bus, mamma e figlia vanno al Meharry Hospital a circa 80 chilometri da Clarksville. Ogni giorno fratelli e sorelle fanno fare a Wilma quattro ore di esercizi, appresi dal loro medico di famiglia. Dopo duecento viaggi in ospedale, Wilma comincia a camminare con le stampelle e un tutore per la gamba sinistra e dopo altri quattro anni, una domenica mattina, entra in chiesa ad assistere alla messa con andatura incerta e senza stampelle. In questi anni Wilma ha vissuta sola, seguita da tutor per lo studio, ma ora può frequentare la scuola. E qui scopre la sua grande vocazione: lo sport! Vede gli altri bimbi giocare a pallacanestro nella scuola o nelle strade e sogna di giocare insieme a loro, libera e felice. Non è solo desiderio. Wilma studia ogni schema, ogni tiro, ogni rimbalzo, ogni diagonale e le vive nel suo corpo come se le vivesse sul campo. La visualizza e comincia a impararla grazie all’amore per l’apprendimento, un valore che la caratterizza sin da bimba. A dodici anni, finalmente senza tutori e stampelle, Wilma si dedica al basket. Cominciano gli allenamenti. Wilma è fragile, insicura, lenta, goffa, ma ha alle sue spalle otto anni di allenamenti riabilitativi durissimi, che le hanno formato una seconda natura fatta di perseveranza, disciplina, capacità di sopportare dolore e fatica. Ha una passione sconfinata e una irrazionale ambizione: vuole diventare una stella del basket. Il suo coach C. Clinton Gray la accoglie, la fa allenare e la mette in panchina. Per tre anni. Ogni estate Wilma integra i suoi allenamenti partecipando a gare di atletica. Ogni anno è più veloce. E finalmente affronta il coach grazie alla sua audacia e gli chiede di giocare, si sente pronta. Con il nuovo campionato è nel quintetto titolare, pienamente in forma. E’ cresciuta, più alta delle altre e grazie a lei, la squadra arriva nelle finali e… perde. Ma mai sconfitta fu più fruttuosa per un’atleta. In quella partita c’è un arbitro speciale Ed Temple. Fa l’arbitro ma è un coach alla ricerca di potenziali talenti per l’atletica. Ed vede nella grinta e nelle movenze di Wilma il potenziale di una sprinter. Ed è il coach di atletica della Tennessee State University e le propone di partecipare ai loro raduni estivi, nella squadra delle Tigerbelles. Certo si tratta di lasciare il basket. Ma entrare nella squadra di atletica rappresenta l’opportunità di frequentare il college e laurearsi. Per una ragazza come Wilma è l’occasione della vita. E non se la fa sfuggire. Cominciano anni di doppi allenamenti, gare di basket e allenamenti di atletica. Ai primi raduni nel competere con le altre atlete è un disastro. Deve aumentare forza e resistenza, imparare la tecnica, rafforzare i muscoli. Ma dopo mesi di preparazione a sedici anni riesce persino a qualificarsi per le Olimpiadi di Melbourne. Non riesce ad andare oltre il terzo posto in staffetta, ma è sempre una medaglia da portare a casa. La sua ambizione si modifica con i suoi obiettivi. Ha altri quattro anni di preparazione per le Olimpiadi di Roma. Al college il coach Ed pretende una media alta negli studi per chi partecipa ai suoi allenamenti. Wilma deve superare complessi di inadeguatezza, senso di inferiorità rispetto alle altre, incertezze di ogni tipo che frullano nella testa e indeboliscono le gambe. Il sostegno del suo allenatore è però straordinario e il lavoro che Ed fa con le altre è talmente fruttuoso che viene nominato coach della nazionale olimpica.
A Roma Wilma trionfa. La bimba che non poteva camminare diviene la donna più veloce della storia. I giornalisti la chiamarono la Gazzella Nera, la Perla Nera, il Tornado del Tennessee. La parata che l’accoglie al suo ritorno a Clarksville è il primo evento pubblico di integrazione nella storia della città, perché ogni abitante, indipendentemente dalla sua etnia, è lì a festeggiarla. Nel 1962 e nel 1963, l’ascesa di Wilma è irrefrenabile. Ma nonostante la popolarità, i premi e i riconoscimenti, Wilma continua a studiare con straordinaria umiltà, si laurea e comincia a insegnare nelle Scuole e a fare la coach. Lascia l’atletica al vertice della fama. Il suo percorso ora è quello di promuovere lo sport fra la sua gente, cercare di ispirare le giovani e i giovani a costruirsi un futuro, a emanciparsi dalla miseria e dall’ingiustizia. Wilma diviene una straordinaria leader. Negli anni crea la Wilma Rudolph Foundation, un’organizzazione no profit dedicata ai giovani atleti che non hanno possibilità economiche offrendo borse di studio e servizi di coaching gratuiti. Ogni atleta può essere monitorato e seguito, negli allenamenti e negli studi. Migliaia di giovani cambieranno la loro vita grazie a Wilma, divenendo ottimi atleti e uomini e donne istruiti.
Prematuramente, proprio come era nata, arriva anche la morte. Il 12 novembre del ‘94, Wilma Rudolph viene a mancare per un tumore al cervello. Nella sua autobiografia Wilma ha scritto «Non bisogna mai sottovalutare il potere dei sogni e l’influenza dello spirito umano. Siamo tutti uguali sotto questa luce. Dentro ognuno di noi c’è il seme di una potenzialità che ci può rendere grandi.» (Tratto da L. Stanchieri, “Iron Peak, la potenza mentale nello sport”, di prossima pubblicazione).
L’amore per l’apprendimento, la perseveranza, l’umiltà e la leadership positiva di Wilma sono potenzialità personali che divengono talenti e soprattutto valori. Nei percorsi di Coaching Umanistico, in ogni ambito di applicazione, allenare i valori in una persona è determinante per la sua crescita e la sua autorealizzazione. Ognuno di noi ha incredibili potenzialità valoriali, ispirate dall’amore per la vita, la propria e quella altrui. Purtroppo viviamo in un contesto culturale dove i valori sono calpestati in nome del risentimento, dell’invidia, del nichilismo individualista o del disincantamento cinico. Lottare per i valori, scoprirli dentro di noi, coltivarli e condividerli, riflettere sul loro contenuto e verificarli nella vita, è un processo decisivo per chi voglia realizzarsi anche quando il contesto culturale è ostile, come lo era per Wilma. Investire sui valori tempo e risorse è un asset strategico che ha diverse funzioni. I valori definiscono chi siamo (identità valoriale), ci ispirano a elaborare obiettivi e strategie (identità progettuale), ci forniscono criteri per discernere il bene dal male (identità etica), ci permettono di costruire e selezionare le relazioni più importanti (identità relazionale), ci forniscono competenze e talenti nel saper fare (identità professionale) e ci aiutano a trasformare sfide e ostacoli in opportunità di crescita (identità trascendente). I valori riempiono di significato la libertà, esplorano il bene, verificano il vero, orientano nel giusto ed esaltano il bello. Come disse Gino Bartali, se il talento sportivo fornisce medaglie da appendere sulla giacca, i valori premiamo con le medaglie dell’anima. Wilma era convinta che in ognuno di noi c’è il seme di una potenzialità che ci può rendere grandi di fronte a noi stessi, i nostri cari e le nostre comunità. A condizione che si onori il valore supremo, la libertà di scelta.
Luca Stanchieri